Premessa
Questo lavoro scaturisce
dalla mia lettura del n. 20 della Bolla Misericordiae
vultus di Papa Francesco, in cui egli evidenzia un rapporto intrinseco tra
giustizia e misericordia sulla base della visione biblica dei due concetti.
Questo rapporto (per lui,
Papa Francesco) è molto importante per evitare la concezione legalistica della
giustizia, cioè osservare la legge letteralmente. Questa tendenza legalistica
crea la separazione. Dice il Papa: “Davanti
alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica
dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande
dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e
la salvezza”.[1]
Nel contesto culturale e
religioso, almeno del Vangelo, questa giustizia legalistica creava una
esclusione tra i giusti e i non giusti; tra i santi e i peccatori, gli
osservanti e i non osservanti. In particolare, se funzionasse ancora la legge:
‘occhio per occhio, dente per dente’, allora tutta la gente mancherebbe almeno
di una parte del corpo. Nel nostro contesto la giustizia legalistica permette
l’oppressione e la violenza. In fondo al principio legalistico c’è sempre la
preoccupazione della credibilità della legge, perché, con la mentalità attuale,
non priva dalle interesse personali, sembra che la legge sia favorevole solo ai
potenti (es: la legge elettorale in qualche paese; in Indonesia in certo
periodo di religiosità, di giorno i ristoranti sono pregati di non aprirli, per
favorire la maggioranza).
“Oggi
tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il
potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse
di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza
prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come
un bene di consumo, che si può usare e poi gettare”.[2] Giovanni
Paolo II precisò il rischio grosso di questa giustizia legalistica, dicendo: “E’ ovvio, infatti, che in nome di una
presunta giustizia (ad esempio, storica o di classe) talvolta si annienta il
prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari
diritti umani”.[3]
La tendenza a percepire la giustizia in questo modo è molto opprimente, fa
perdere a questo concetto il suo valore liberante e umano. La giustizia
legalistica crea più la morte che la vita; crea più la separazione e la
distanza che l’unità. Il papa intuisce questa decadenza del valore originario
della giustizia perciò vuole recuperarlo rapportandolo al concetto di
misericordia perché “L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che
la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento
di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di
plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. È stata appunto l'esperienza
storica che, fra l'altro, ha portato a formulare l'asserzione: sommo diritto, somma
ingiustizia (summum ius, summa iniuria). Tale affermazione non svaluta la
giustizia e non attenua il significato dell'ordine che su di essa si instaura;
ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze
dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l'ordine stesso della
giustizia”.[4]
In questo lavoro vorrei
evidenziare il rapporto tra giustizia e misericordia esaminandolo dal punto di
vista della Bibbia, di Tommaso d’Aquino e di Papa Francesco nel documento Misericordiae vultus.
1.
Giustizia e Misericordia nella Bibbia
1.1.
La giustizia di Dio e dell’uomo
La giustizia in senso
biblico ha, tra le altre, una dimensione religiosa, esprime l’atteggiamento di
Dio riguardo all’alleanza. L’agire di Dio è sempre coerente alla promessa
fatta, con la quale ha stretto alleanza con il suo popolo. La giustizia di Dio
si manifesta quando Dio compie le sue promesse, nonostante ci sia l’infedeltà
del suo popolo eletto. Su questo argomento Walter Kasper dice: “Il concetto Biblico della giustizia zaddiq e zedaqah (giusto e giustizia) è diverso. Non sta in
oppposizione a questa definizione [la giustizia è la virtù che concede a
ognuno, suum cuique, ciò che gli spetta (Ulpiano, III sec.)…] ma la determina e
la rende concreta. Esso intende la giustizia come fedeltà all’alleanza di Dio
con Abramo (Gen 15) e poi con il suo popolo eletto (Es 19 s.; Dt 5 s.). Giusto
è colui chi si attiene alla legge dell’alleanza (Ex 24,3; Dt 5,1; 6,17.25; Sa
106,3.31), e l’ubbidienza alla volontà di Dio ovvero la fede va accreditata
come giustizia (Gen 15,6; Sa 106,3.31; Rm 4,3.9.22; Gal 3,6; Gc 2,23). Così la
giustizia non è un ordine delle cose e del cosmo, soprattutto non è solo una
questione economica, ma la giustizia consiste sia nel rapporto relazionale e
comprensivo di fede con Dio, sia nel rapporto solidale e rispettoso fra gli
uomini e nel rapporto responsabile con il creato, che è affidato all’uomo e al
suo uso perché lo coltivi e lo custodisca (Gen 1,28; 2,15; Sa 8,7 ss.)[…] È la
convinzione fondamentale della Bibbia, che Dio è giusto e giudicherà il mondo
con giustizia, con rettitudine deciderà le cause dei popoli (Sa 9,9; Atti
17,36)”.[5]
In questo senso la giustizia
si riferisce alla fedeltà al rapporto stabilito: Dio è giusto perché è fedele
all’alleanza ed è altrettanto vero che l’uomo è giusto mantenendo la fedeltà
all’alleanza (nell’adorare e nell’affidarsi solo a Dio). In altre parole
l’obbedienza al patto con Dio è l’espressione della giustizia umana verso Dio.
Questa obbedienza è gradita a Dio anche nel cuore contrito per aver commesso
l’infedeltà:“I profeti affermano: Non basta l’abluzione esteriore, Dio
vuole la purificazione
e la conversione interiore del cuore. La predicazione fondamentale dei profeti
è la chiamata alla conversione (schub; metanoia) a Dio, cioè il ritorno al
rapporto e all’amore iniziale (Os 2,21 s.; 14,5). “Nella conversione e nella
calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza”
(Is 30,15; cfr. Os 14,2 s; Ger 3,19- 4,4; Ez 33,11 ecc.). “Tu non gradisci il
sacrificio, se offro olocausti tu non li accetti. Uno spirito contrito è
sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi” (Sal
51,19; cfr. 34,19; 40,7 s; Is 66,2 ss.; Gl 2,12 s). Dio vuole diritto e
giustizia e non sacrifici (Am 5,21-27; Is 1,10-17; 5, 8, 5-8; Zac 7,5-10),
vuole la misericordia e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli
olocausti (Os 6,6).[6]. La
giustizia biblica, quindi, ha un valore relazionale[7], cioè è
collocata nel rapporto con l’altro più che nel rapporto con una legge scritta..
1.2.
La misericordia di Dio e dell’uomo
Ci sono due termini molto
noti per identificare la misericordia nella Bibbia: sono hesed e rahamim. Il
termine hesed (ebraico) viene
tradotto con «misericordia», l’amore tenero e fedele, che appartiene al
vocabolario dell’alleanza e che descrive il modo di essere e la bontà di Dio
(cfr. Sal 103). Giovanni Paolo II in Dives
in misericordia dice “Nell’antico
Testamento hesed viene riferito al Signore [...] sempre in rapporto
all’alleanza, che Dio ha concluso con Israele. Tale alleanza fu, da parte di
Dio, un dono e una grazia per Israele”.[8] Il popolo
eletto, Israele, è caduto nell’infedeltà dell’idolatria. Cosa fa Dio quando
Israele ha rotto l’alleanza? Dio gli risponde mostrando il suo hesed: “Ma proprio allora hesed, […], svelava il suo
aspetto più profondo: si manifestava ciò che era al principio, cioè come amore
che dona, amore più potente del tradimento, grazia più forte del peccato”.[9]
Hesed è allora la fedeltà amorosa di Dio alla propria alleanza: Dio
resta fedele anche quando il popolo tradisce, perché è il “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di
grazia e di fedeltà”(Es 34,6). Hesed di Dio significa che Dio è fedele a sé e mantiene la sua
parola, quindi la misericordia è l’identità personale più profonda di Dio: “A chi voglio fare grazia e di chi voglio
avere misericordia, avrò misericordia” (Es 33,19).
Il termine rahamim si riferisce all’amore materno e
viscerale di Dio. Si può dire anche tale termine esprime la tenerezza di Dio: “La radice rhm evoca il grembo materno, e il plurale rahamin descrive quel sentimento
ricco di emotività che è l'amore materno (cf. Is 49,15): la sua traduzione
migliore è tenerezza”.[10]
Siccome le viscere fanno parte intima della corporeità umana ne consegue che
l’amore viscerale di Dio ha a che fare con il suo sentimento di bontà, di
compassione che scaturisce o nasce dal profondo del suo essere. Il che
significa che l’amore di Dio verso noi, come rahamim, nasce non da una legge esteriore che lo costringe, ma al
contrario nasce da un sentimento spontaneo e gratuito, nasce dall’esigenza del
cuore che lega la madre al figlio. Questo amore viscerale appare
nell’atteggiamento di Dio che non vuole la morte del peccatore, ma che si
converta e viva (cfr. la parabola del padre misericordioso di Lc 15,11-32).
Vale la pena evidenziare la spiegazione di Giovanni Paolo II su questo
argomento: “Il secondo vocabolo, che nella terminologia dell’Antico
Testamento serve a definire la misericordia, è rachamìm. Esso ha una sfumatura
diversa dal termine hesed.
Mentre questo pone in evidenza i caratteri della fedeltà verso se stesso e
della responsabilità del proprio amore
(che sono caratteri in certo senso maschili), rahamìm, già nella sua radice, denota l’amore della madre (rehem = grembo materno). Dal più
profondo e originario vincolo, anzi dall’unità che lega la madre al bambino,
scaturisce un particolare rapporto con lui, un particolare amore. Di questo
amore si può dire che è totalmente gratuito, non frutto di merito, e che sotto
questo aspetto costituisce una necessità interiore: è un’esigenza del cuore. È
una variante quasi femminile della
fedeltà maschile a se stesso, espressa dalla hesed. Su questo sfondo psicologico, rahamìm genera una gamma di sentimenti, tra i quali la bontà e
la tenerezza, la pazienza e la comprensione, cioè la prontezza a perdonare.
L’antico Testamento attribuisce al Signore appunto tali caratteri, quando parla
di lui servendosi del termine rachamìm.
Leggiamo in Isaia: “Si dimentica
forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio
del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non
ti dimenticherò mai (Is 49,15)”[11].
Davanti al Dio misericordioso che cosa fa
l’uomo? L’uomo esprime la sua fiducia chiedendo il suo perdono e osservando i
suoi commandi. Avere fiducia in Dio è l’espressione dell’amore dell’uomo verso
Dio. Si può citare il caso di Davide il quale, dopo aver commeso un peccato, si
è pentito e ha chiesto perdono a Dio. Mosè (Es 32) stesso ha chiesto perdono a
Dio ricordandogli la promessa fatta ai Patriarchi di Israele.
1.3.
Giustizia e Misericordia di Dio e dell’uomo nella Bibbia
Da queste spiegazioni si può
affermare che sia la giustizia che la misericordia in senso biblico hanno a che
fare con l’alleanza. Dio mostra la sua giustizia e misericordia per realizzare
la sua promessa dando vita al popolo con cui si allea. Dall’altra parte l’uomo
sperimentando la fedeltà di Dio gli esprime la sua fiducia. Quindi nella Bibbia
la giustizia e la misericordia non si oppongono, anzi esprimono insieme
l’identità di Dio o meglio l’atteggiamento di Dio verso il suo popolo e
l’atteggiamento dell’uomo verso Dio.
2.
Giustizia e Misericordia secondo Tommaso d’Aquino
2.1.
La giustizia di Dio e dell’uomo
Per S.Tommaso la giustizia è
“un ‘abito’, ossia una disposizione abituale dell’animo che tende a dare a
ciascuno il suo, ciò che è strettamente connesso con una determinata persona
sia per diritto naturale, sia per diritto positivo”[12]. Qui la
giustizia ha a che fare con l’altro, cioè la disposizione di cogliere che
l’altro è bisognoso come me e di riconoscere il diritto che spetta all’altro.
Perciò tale giustizia crea un modo di rapportarsi/relazionarsi in modo
paritario (uguaglianza). L’insistenza sul ‘dare a ciascuno ciò gli aspetta’
promuove il bene comune, cioè promuove il rapporto costruttivo/positivo e
responsabilizzato tanto tra i singoli quanto tra la comunità e la singola
persona e viceversa. Da qui derivano tre tipi di giustizia che conosciamo
nell’ambito civile: commutativa, legale e distributiva[13].
La giustizia di Dio secondo S Tommaso è
distributiva nel senso che Dio offre o dà a ciascuno gratuitamente senza
aspettare nulla in cambio. Nella rivelazione si vede molto la gratuità di Dio
in cui si dona totalmente perché l’uomo abbia la vita.
2.2.
La misericordia di Dio e dell’uomo
Misericordia significa avere
compassione per la miseria altrui e tale compassione scaturisce da un cuore
misero che si avverte per chi versa in necessità, e che conduce/spinge una
persona a prestare soccorso: “(…) è il
sentimento di compassione che si avverte per chi versa in necessità, e che
induce una persona a prestare soccorso: ‘misericordioso si dice chi ha un cuore
pieno di commiserazione […] perché alla vista delle altrui miserie è preso da
tristezza, come se si trattasse della sua propria miseria. E da ciò proviene
che egli si adoperi a rimuovere l’altrui miseria. E questo è l’effetto della
misericordia’ (I, q. 21, a. 3)”.[14] Questa misericordia “va attribuita a Dio in
modo principalissimo: non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli
effetti che produce”(I, q. 21, a.3). Questo atto misericordioso di Dio avviene
nella liberazione del popolo Israele dalla schiavitù dell’Egitto (Es 3,7); nel
NT diviene visibile nella parabola del buon samaritano, e anche del padre
misericordioso. Commentando Tommaso, Fausto Grimaldi scrive: “Allora, dal lato antropologico l’Aquinate
ritiene che la misericordia è la compassione della miseria altrui […] Il cuore,
il centro, il fulcro e la ragion d’essere della misericordia sta nella mancanza
(privazione) di qualcosa nell’altro. Si è misericordiosi non perdonando (nel
senso esclusivo del termine), ma colmando l’altro del vuoto che possiede;
riversando nell’altro l’amore misericordioso che l’altro (non) si aspetta.
Misericordia è moto, movimento, tensione verso l’altro: ed è così si opera la
giustizia”[15].
2.3.
Il rapporto tra giustizia e misericordia
Sia giustizia che
misericordia parlano di un atto relazionale, cioè di un rapporto con l’altro in
cui la giustizia richiama una necessità obbligatoria di dare a ciascuno ciò che
a lui è dovuto, mentre l’atto di misericordia scaturisce da una volontà
gratuità anche verso chi è indegno di riceverlo. Ma c’è un rapporto più
profondo in cui la misericordia va oltre la giustizia[16] ed è
anche la pienezza[17]
della giustizia.
3.
Giustizia e Misericordia secondo Papa Francesco
3.1.
Giustizia di Dio e dell’uomo
Papa Francesco ammette il concetto di giustizia come applicazione della
legge secondo un ordine giuridico della società civile per garantire il suo
bene comune e dovere di dare a ciascuno che gli spetta come suo diritto,[18]
ma nello stesso tempo mette in luce la parte mancante di tale concetto e va
oltre, superandolo con la visione scritturisca.
Egli dice, per superare la prospettiva legalista, che “la giustizia è
concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio”[19].
Commentando Paolo nella sua lettera ai Galati: “Abbiamo creduto anche noi
in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere
della Legge” (2,16), Papa Francesco scrive: “La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone
al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che
salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la
salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso
la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte
le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16)”.[20]
Ora la fede giustifica perché il suo oggetto non è più una legge (oggetto
passivo misurato dall’uomo) ma la persona di Cristo che sceglie e misura, crea
l’uomo nuovo. Si veda anche Mt 1,19 e 3,15 in cui Giuseppe e Gesù adempiono la
giustizia perché accolgono il disegno di Dio, il quale insegna continuamente
agli uomini la giustizia (cfr. Is 26,9).
3.2.
Misericordia di Dio e dell’uomo
Papa Francesco, nel Misericordiae vultus, usa il termine
‘amore viscerale’ per descrivere la misericordia: “Insomma, la misericordia di
Dio è […] una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di
un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per
il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”.
Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza
e di compassione, di indulgenza e di perdono” (Mv 5). “Misericordia: è la
parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e
supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge
fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi
sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via
che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per
sempre nonostante il limite del nostro peccato. […] Dinanzi alla gravità del
peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre
più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che
perdona.”(Mv n. 2). In Gesù Cristo questa misericordia di Dio trova il suo atto
e volto visibile (Mv n. 1) nell’avere compassione (Mv n. 8), nel cercare i
perduti e gioire dopo averli trovati (Mv n. 9).
La misericordia viscerale
descritta da Papa Francesco mostra il nucleo della fede e dell’agire cristiano.
Cioè, siccome le viscere sono la parte profonda della corporeità umana, allora,
nel loro senso figurato, significano che la misericordia al cuore della vita di
Dio e del suo agire.
Il suo amore verso di noi
non scaturisce da un rapporto dovuto, ma nasce da un sentimento spontaneo e da
una compassione o bontà gratuita. Il prendersi cura di una madre verso suo
figlio nasce da un amore gratuito per il bene del bambino: “Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la
parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita
ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore,
d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura
è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano
nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi.
Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici,
colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare
l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli.
Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi,
gli uni verso gli altri” (Mv n. 9).
3.3.
Il rapporto tra giustizia e misericordia secondo Papa Francesco
Papa Francesco scrive: “Non sarà inutile in questo contesto
richiamare al rapporto tra giustizia e
misericordia. Non sono due
aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si
sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza
dell’amore. […] Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede,
piuttosto che dell’osservanza della legge. Commentando Mt 9,13[«Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici.
Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori»] in cui
Gesù si trova a tavola con i peccatori, Papa Francesco scrive ”Davanti alla visione di una giustizia come
mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e
peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca
i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. […] La misericordia non
è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il
peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e
credere.[…] Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe
come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da
sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di
distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il
perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al
contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine,
ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono.
Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore
dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo
prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso
errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la
giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi
alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la
giustizia sia data a chiunque crede» (Rm
10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come
grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo”[21].
4.
Conclusione
Parlando del rapporto tra
giustizia e misericordia, la Bbbia mette sullo stesso livello; la giustizia di
Dio è la Sua misericordia. Tale rapporto nel pensiero di Tommaso d’Aquino e di
Papa Francesco ha un grado diverso. Entrambi mettono la misericordia ad un
livello più alto rispetto alla giustizia: la misericordia è l’apice. Si può
capire questa preferenza della misericordia perché la giustizia sembra perdere
il suo valore liberante.
Giustizia e misericordia
hanno uno scopo comune: l’intersoggettività.Tutte due hanno a che fare con la
relazione tra le persone però ciascuna basa il suo rapporto su fonti
differenti.
La giustizia ha a che fare
con un rapporto vincolato da una legge: considera le relazioni tra gli uomini
dal punto di vista della legge. La giustizia nasce in un contesto sociale e
collettivo per il bene comune, nel quale va rispettata perché la legge
costringe a fare così. Quindi in un certo senso l’intersoggettività
diventa un dovere da compiere verso l’altro. Inoltre, la legge che vincola
la relazione sociale per il bene comune viene promulgata sulla base del
consenso pubblico derivato dalla logica umana. Bisogna considerare, però, che
questa logica umana non può prescindere dall’influsso culturale da cui
appartiene quindi certe concezioni sono culturali. Questo mette in discussione
l’universalità del valore che vuole trasmettere. Capire l’uomo dalla logica
solamente umana, nella storia, non porta a raggiungere un bene comune, ma anzi
un bene parziale segnato dal conflitto di interesse. La supremazia della logica
umana a volte porta a togliere/negare l’esistenza dell’altro. La filosofia che
dice che la realtà è ciò che si pensa—cioè la realtà è il pensiero—ha causato
la morte di tante persone.
La Bibbia propone una
visione di giustizia basata sulla fedeltà di Dio al suo patto, in fondo, a se
stesso. La legge, pure promulgata e facente parte dell’alleanza, viene superata
dall’atteggiamento di Dio, fedele alla sua scelta, intenzione, promessa.
La misericordia, d’altra
parte, è un modo di relazionarsi con l’altro nel quale Dio diventa il protitipo
del rapporto interpersonale: è un modo di vedere l’altro dal punto di vista di
Dio.
Mi piace San Tommaso quando
definisce la parola ‘misericordia’ dividendola in due parole: ‘miseri’ e
‘cordia’. Cioè, misericordia vuol dire mettere il proprio cuore nella miseria
degli altri. Il cuore di Dio è amare, quindi, Dio, nel suo rapporto con noi,
mette il suo cuore e amore perché viviamo. Lui sa che non siamo capaci di
ricambiare il suo amore. Allora che cosa fa? Lui aumenta il suo amore. Lui non
può fare altro che amare, poiché il suo essere è amore: ‘Dio è amore’ (1 Gv
4,8). Così la misericordia di Dio diventa la misura valutativa per eseguire la
giustizia umana. Nel senso che l’uomo ubbidisce alle leggi umane nella misura
in cui esse riflettono la volontà di Dio.
“Già la creazione è un atto di
misericordia e non di giustizia, in quanto Dio dà alla creatura ciò per cui non
può vantare nessun diritto ed è massimamente indebito, l’essere: ‘La giustizia
consiste nella retribuzione dei meriti e perciò nella creazione non si può
parlare di giustizia […]. Invece nell’opera della creazione si può parlare di
misericordia perché, creando, Dio toglie il più grande di tutti i difetti, vale
a dire il non essere […]: e questo lo fa per volere totalmente gratuito e non
costretto da alcun debito’” (B. Mondin, “Misericordia”, in: Dizionario enciclopedico di filosofia e
teologia morale, Massimo, Milano 1989).