Sabato
20 novembre 2015. Sono stato a Gaiano, in provincia di Parma, circa trenta
minuti da Parma in macchina, insieme con p.Tof. Sono andato ad accompagnarlo
perché lui doveva celebrare la messa in una comunità dove ci sono le persone
diversamente abili. Durante il viaggio mi diceva che queste persone erano emarginate
dalla propria famiglia. Arrivati lì, c’erano due suore e una volontatria che
viene ogni tanto a dare una mano per curare questi nostri fratelli: sono una
decina di persone. Ci hanno accolti calorosamente e mi sono trovato subito bene
in mezzo a loro.
Niente
di particolare è successo in questo incontro non previsto ma vederli (le suore
e le persone diversamente abili) così mi è venuta in mente un’esperienza simile
che feci dieci anni fa dove mi trovai in una realtà simile. Fu a Yogyakarta, in
Panti Asih Pakem, una casa per le persone diversamente abili. Eravamo quattro
studenti saveriani: Ansi, Gordi, Polce e Pandri. Andammo per un mese intero a
fare qualche piccolo servizio: aiutandoli a fare il bagno, imboccandoli,
sistemando la loro stanza e passando insieme a loro qualche momento
particolare. Nei primi giorni mi trovai in una situazione difficile: la
difficoltà nel comunicare, nell’abituarsi e nel comportarsi in una realtà
perfettamente diversa dalla solita realtà in cui mi trovavo, ma andando avanti
ci si abituava e si godeva anche la bellezza di dare loro una mano. Alla fine
di quell’esperienza mi chiedevo spesso perché i volontari erano riusciti a
servirli e perché ero riuscito a dare qualche tempo e stare con loro.
La
stessa domanda mi facevo durante la messa: come mai le suore e i volontari
riescono a servire queste persone? Cosa vedono in loro per cui le amano e se ne
prendono cura? Per avere una risposta convincente bisogna intervistare le suore
e i volontari, ma queste domande mi riguardano: se ci fossi anch’io, che cosa
farei e risponderei?
Citerei
parafrasando le parole di madre Teresa di Calcutta quando diceva che a lei
piaceva stare vicina, curare e accompagnare gli ammalati e i moribondi perché
potessero sentire che loro non erano soli, ma c’era Gesù presente nella loro
condizione. Nella vita e nelle parole di madre Teresa di Calcutta c’era la
presenza di Dio. La presenza di Dio avviene quando c’è la compassione che si
esprime nei gesti concreti e nelle parole consolatorie.
Ho
visto questi gesti concreti di compassione divina fatta dalle mani delle suore
e dai volontari verso questi nostri fratelli cosiddetti emarginati dalla
famiglia e anche dalla società. Qualcuno potrebbe smentire questa mia opinione
dicendo che non è vero: lo stato spende qualche soldo per mantenere queste
strutture e queste associazioni. Non colpevolizzerei nessuno, ma mi interessa
solo apprezzare quest’atto d’amore fatto e espresso dalle suore e dai
volontari. Sono veramente gesti divini poiché dalla logica del mercato queste
persone diversamente abili vengono considerati inutili poiché non producono
niente quindi non valgono niente. Di solito quando una cosa non vale si butta
via. Putroppo è una cultura disumana poiché misura il valore dell’uomo come se
fosse una cosa.
Sono
convinto che le persone, agendo diversamente da questa cultura disumana, sono
veramente persone di Dio. La loro azione
spinta dalla forza spirituale può apprezzare e cogliere il valore umano
intrinseco in ogni persona anche nelle persone diversamente abili. Le vedono
non dal punto di vista della produtività e dalla capacità del fare, ma le
vedono per il fatto che esistono come uomo e donna simili agli altri.
Prego
Dio perché Egli conceda sempre alle sorelle e ai volontari la forza incessante per
continuare questi gesti concreti di amore misericordioso verso gli emarginati.
Prego Dio perché mi apra il cuore per avere sempre lo stesso zelo e di
considerare gli altri come fratelli e sorelle nati da Dio creatore e
misericordioso.