“Abitare il mondo” è stato il tema
dell’incontro con i giovani dell’Emilia Romagna fatto a Modena nel centro della
Famiglia di Nazareth, domenica 19 aprile 2015. L’incontro è stato organizzato
dai CMD (Centro Missionario Diocesano) dell’Emilia Romagna per i giovani che
hanno vissuto esperienza in missione e per quelli che partiranno quest’estate. C’erano
quasi 150 persone tra cui c’ero anch’io.
È
stata un’occasione per incontrarsi, stare insieme e confrontarsi: che cosa significa
‘Abitare il mondo’? I giovani sono entrati proprio dentro se stessi a chiedersi
o interrogarsi o confrontarsi sulla propria scelta, a partire dalle
testimonianze di tre persone che hanno cercato davvero di “abitare” contesti
particolari.
La
prima testimonianza è stata di mons. Giorgio Biguzzi, missionario Saveriano e
vescovo emerito di Makeni-Sierra Leone. Egli ha raccontato la sua esperienza
missionaria innanzitutto facendosi pastore di una comunità locale perché
vivesse alla logica del vangelo, costruendo un dialogo interreligioso tra
cristiani e musulmani in Sierra Leone, e anche aiutando a liberare i bambini-soldati
dalla guerra e a reinserirli nella comunità. Il suo abitare il mondo si esprime
nel costruire una comunità veramente cristiana e nel promuovere la pace nella
sua gente.
La
seconda testimonianza è stata portata da una giovani coppia dell’operazione colomba-campi
profughi in Libano. Hanno testimoniato l’esperienza vissuta insieme ai profughi
in Libano. La loro presenza in quel paese non era tanto il fare qualcosa o
pretendere di poter risolvere il problema dei profughi ma quanto piuttosto lo
stare insieme con loro condividendo la fatica e la gioia della vita. Essa riteneva
che questo stare insieme fosse sempre un momento giusto per capire la realtà e
allo stesso tempo fosse un momento di apertura alla novità. Questa coppia ci
raccontava o notava quanto la paura di essere minoranza nella propria patria
diventasse un ostacolo grande nell’accogliere i numerosi profughi fuggiti dalla
guerra. La fatica o difficoltà più grossa era quella dei profughi, poiché
fuggire significava perdere tutto: la cultura, la famiglia, il sostegno della
vita. Arrivati nei campi dei profughi, si sentivano stranieri, soli, senza
speranza. Queste due persone, sperimentando tutto questo, davvero si sentivano
interrogate al proprio modo di essere prossimi agli altri. Ritenevano che lo
stare insieme in questa realtà potesse essere una luce o potesse suggerire la
speranza per i profughi. Nonostante tutto, c’era sempre qualcosa da imparare:
per esempio, nella loro difficoltà tra i profughi sconosciuti c’era anche la
carità fraterna. Questo si attuava quando arrivava una famiglia che aveva perso
tutto; tra i profughi si mettevano d’accordo per fare una colletta per questa
famiglia. “Vedere questo era una cosa commovente!” affermò questa coppia. “Abitare
il mondo” per loro è diventato lo stare insieme con gli altri condividendo la
vita come è veramente.
La
terza testimonianza è stata fatta da una signora reggiana che, con la sua
comunità, si occupa delle ragazze prostitute. Essa e insieme con i suoi vanno
spesso a trovare queste ragazze che stanno sulla strada quasi tutta la notte
fino al mattino alle cinque aspettando i clienti. Quello che fanno non è una
cosa straordinaria. Questa comunità parlando con loro e facendo capire che, se spesso
sono ritenute un po’ negativa dalla società, in realtà esse sono persone umane
con la loro dignità. La loro motivazione è per far capire che essa è una
persona umana, una persona importante, come gli altri, che ha bisogno di essere
accolta, ascoltata e rispettata. Oltre a questa motivazione, soprattutto quando
la relazione e la fiducia comincia ad esistere, questa comunità invita queste
ragazze a fare un incontro col vangelo e a pregare insieme.
Partecipando
e ascoltando questi racconti, mi sono chiesto quale sia il mio modo di “abitare
il mondo.” Prima di tutto ero stupito di fronte a questo tipo di incontro: pensavo
che il motivo per cui Centro Missionario Diocesano ha proposto questo incontro
fosse un motivo formativo: cioè formare e orientare i ragazzi alla loro scelta,
perché a loro volta potessero costruire un mondo “insieme” agli altri. Cioè aiutare
i giovani ad aprire un orizzonte più ampio in tutti sensi: ecclesiale,
culturale, sociale, umano, politico, eccetera; perché sentano la loro
responsabilità di costruire un mondo vivibile per tutti. È anche vero che trovare
la realtà così complessa come è porta una conseguenza sul piano esistenziale:
perché a volte questa realtà ci mette in crisi, ci chiede un cambiamento e una purificazione,
ma può darsi anche che questa realtà dia un orientamento nuovo nell’agire. Mi
sembra che in fondo ci sia anche la preoccupazione di non lasciare rimanere i
giovani in un mondo solamente virtuale-tecnologico, chiuso. Il mondo dei
giovani è l’avventura, la scoperta di se stessi e dell’altro. Questo tipo di incontro
per loro ha un valore direttivo, cioè dirigerli ad un’avventura, o a una
scoperta, significativa per la loro crescita sia personale sia comunitaria.
Per
me “abitare il mondo” non è solo esistere nel mondo nemmeno sfruttare il mondo.
Innanzitutto questo incontro mi ha convinto di una cosa: devo prendermi cura del
mondo. Cioè il mio modo di agire contribuisce al miglioramento e al peggioramento
del mondo. Un esempio banale è questo: a Jakarta quasi ogni anno c’è
l’inondazione. La causa di questo problema è la cattiva abitudine degli
abitanti di Jakarta di buttare ovunque la spazzatura e anche nei fiumi. Quando
arriva la pioggia il volume d’acqua aumenta, ma quest’acqua non corre bene al
suo destino perché le spazzature la frenano, per cui l’acqua esce fuori dal suo
alveo o il fiume esonda e allaga la pianura. Contribuisce anche io insieme agli
altri a causare quest’inondazione. Quindi questo modo di agire o di vivere influenza
molto il bene comune nel mondo. Cambiare questo modo di vivere è anche un modo
concreto per abitare il mondo. Il che comprende il cambiamento di vedere il
mondo, la terra, la cultura, le altre persone diverse da noi, eccetera.
A
questo punto vale la pena citare le parole di Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, “Amiamo questo
magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con
tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze,
con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti
siamo fratelli.” Se avessimo un’idea simile a quella del papa, il nostro mondo
diventerebbe un mondo vivibile.