Mi sembra che il vangelo di oggi (Lc 5,1-3.11-32 :
quarta domenica di quaresima, anno c) ci mostri uno specchio nel quale
riconosciamo e vediamo il nostro essere figli davanti al Padre misericordioso.
Lo stesso testo ce lo esplìcita nelle ripetizioni della parola ‘figlio’ (che
ricorre nove volte) e la parola ‘padre’ (che ricorre dodici volte). Quando
sentiamo la parola ‘figlio’ e ‘padre’ la identifichiamo subito in un ambiente
familiare; cioè, chiama padre perché sa di essere suo figlio e viceversa.
Purtroppo, i due figli in questa parabola, non sanno cogliere e gustare l’amore
paterno del padre ; in realtà non sanno di essere figli.
Il figlio minore chiedendo l’eredità (che a lui
spetta) elimina/toglie la figura del padre. Cioè, di solito nella nostra
cultura, l’eredità viene divisa al procinto della morte del padre. Il figlio
minore chiede a suo padre di dargli l’eredità come se il padre stesse già per
morire. Il che significa che dentro il suo cuore, il padre è già morto, lo
elimina; vuol dire che il suo padre non vale più niente. Il figlio minore per
essere libero e per avere la propria autonomia, si distacca dal padre e elimina
la relazione filiale con il padre. Siamo consapevoli che non siamo lontani da
questa figura del fratello minore. Basta pensare agli anziani lasciati soli dai
propri figli o familiari a casa propria o a casa di cura per anziani. Sì, è
vero che una volta al messe si va a trovarli. Ma è sufficiente andare a
trovarli una volta al messe per esprimere il nostro volerci bene, il nostro
ringraziamento e i nostri affetti? Facendo cosi ai nostri familiari rispecchia
o mostra il nostro allontanamento da Dio di Gesù Cristo.
Il figlio maggiore essendo a casa con il padre non
riesce a gustare l’amore del padre, non riesce a percepire che tutto ciò che è
di suo padre è anche suo. Lui pensa di guadagnare l’amore di Dio facendo le
opere e seguendo le leggi. Lui si manifesta incapace di vivere da figlio,
vivendo invece da servo e soprattutto negando l’amore attraverso il primato del
merito : “non ho mai disobbedito a un tuo comando (v. 29). Questo figlio maggiore non è cosciente di essere figlio perché
non riesce a chiamarlo/identificarlo come padre e non riesce a considerare il
fratello perduto come suo fratello. I cattolici che criticano o almeno che
hanno paura della riforma di Papa Francesco fanno parte di questa figura del
figlio maggiore. Quindi, l’ignoranza della paternità e della bontà di Dio padre
impedisce al figlio di sentirsi fratello dell’altro.
Il padre viene ritenuto inutile, viene negato e
viene abbandonato dai propri figli è un’esperienza davvero mortale, pesante,
umiliante, spiacevole e deludente. Ma che cosa fa questo padre? Il padre gli
risponde con la sua misericordia aspettandolo, abbracciandolo e dicendo
“facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era
perduto ed è stato ritrovato”. In particolari i versetti 20-21 ci descrivono
l’incontro scovolgente del figlio minore con suo padre : “Quando era ancora
lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro gli si gettò
al collo e lo baciò. Il figlio gli disse : Padre, ho peccato verso il
cielo e davanti a te : non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. In questi due versetti vediamo che la
confessione del peccato è successivo rispetto all’abbraccio o all’accoglienza
amorevole del padre. L’espressione del pentimento, cioè di aver comesso
peccato, viene dopo essere stato abbracciato dalla misericordia del Padre. Qui il testo non dice che il padre aspettava
che il figlio gli dicesse di avere peccato, di aver spreccato inutilmente
l’eredità, per poi abbracciarlo e
perdonarlo. Questo gesto del padre mostra che l’amore di Dio precede la
nostra risposta giusta o sbagliata nei suoi confronti. L’amore di Dio è molto
più grande e molto più importante dai nostri peccati. Qui l’amore di Dio che
previene, che anticipa e che ci salva. Questo significa che il nostro
pentimento e la nostra confessione del peccato non avviene, se prima non
abbiamo sperimentato la sua misericordia. In altre parole che la nostra
disponibilità di confessarsi avviene perché la sua misericordia tocca il nostro
cuore, che ci spinge da dentro di fare questo passo confessionale. Perciò, si
può dire che il nostro sentirci bisognoso di confessarci diventa un segno
evidente e efficacia in cui il nostro cuore è stato toccato dalla misericordia
di Dio. Quindi bisogna riconsiderare come la presenza di Dio quando noi andiamo
a confessarsi. Bisogna essere gioiso perché Dio ci fa sentire. Oppure la nostra
disponibilità di venire alla messa, di ascoltare la sua parola, di fare qualche
atto altruistico sono gesti stimolati dalla bontà di Dio. Dio non considera il
nostro essere figli secondo i nostri peccati o meriti, ma ci considera figli,
anche quando siamo peccatori e ribelli. Dice Papa Francesco : “Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci
siamo perduti ! Insisto ancora una volta : Dio non si stanca mai di
perdonare, siamo noi che si stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui
che ci ha invitato a perdonare ‘settanta volte sette’ (Mt 18,22) ci dà
l’esempio : Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue
spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci
conferisce questo amore infinito e incrollabile” (Evangelii Gaudium, no.3).
Non dimentichiamoci che l’allontanamento di questi
due figli viene risolto e riconciliato dall’atteggiamento del padre che va a
cercarli. Lo smarrimento si risolve con l’avvicinanza del Padre a tutto due.
Significa che questo atteggiamento paterno permette la riconciliazione e
l’unità familiare. La figura di Papa Francesco mostra questo atto
misericordioso che crea ponti di avvicinamento. Se avessimo l’atteggiamento
buono e misericordioso come il padre, saremo capaci di vivere come figli dello
stesso padre e fratelli tra di noi.