Il mio paese si chiama Nunang e
si trova nella regione di Manggarai Barat dell’isola di Flores. Dal
centro/cuore regione, Labuan Bajo, ci vogliono 2 o 3 ore per raggiungerlo
usando i mezzi pubblici. Dieci anni fa era difficile raggiungerlo soprattutto
nella stagione delle piogge perché la strada era ancora non asfaltata. La gente
doveva andare a piedi al centro del comune dove si teneva il mercato settimanale
per vendere e comperare qualche cosa per la famiglia: si dovevano portare per
mano le cose da vendere sulle spalle o una cesta da porre sul capo anche quando
si tornava dal mercato con le cose comperate.
Adesso la situazione è un po’
diversa: la strada è stata asfaltata e quindi le macchine possono percorerla
ogni giorno. Quindi la gente può andare e tornare dal mercato facilmente
prendendo l’”oto” (l’autobus in Italia).
Proprio nel centro del paese
c’è un lago che chiamiamo Sano Nggoang cioè “Lago Ardente”. È un bellissimo
lago. Oltre Nunang, ci sono due villaggi che stanno proprio attorno al lago.
Dietro questi villaggi e anche attorno al lago c’è una collina di quasi 200
metri di altezza più o meno come la panorama che si gode dal lago di Molveno.
Se si vede da lontano, il mio paese appare come una foresta. Quindi abbiamo
ancora l’aria fresca e pura rispetto all’aria che si respira in città. Basta andare 15-20 metri dal centro del
villaggio e si possono ascoltare tante voci di uccelli diversi. Mentre la gente
in città va a lavorare ascoltando la musica dal MP3 o dal celulare con le
cuffie alle orecchi e la gente del mio paese non bisogno così neanche non sa
che cosa siano le cuffie o chi sia il cantante più famoso a livello nazionale:
un contadino andando e tornando dal campo ascolta sempre le voci di uccelli e
sa distinguere un uccello da un altro. Anche andando da un villaggio all’altro
la gente deve passare quasi sotto un foresta ascoltando gli uccelli che cantano.
Ci sono tante cose da scrivere
e da condividere dal mio paese, ma adesso mi limito a raccontare la leggenda
del Sano Nggoang che la gente è orgogliosa di averla.
Tanti anni fa in un paese
piccolo vivevano due uomini, uno era cieco e un altro era paralitico: entrambi
vivevano isolati dalla gente comune in due case diverse, non molte lontana ma cosi
ché si potevano scambiare le notizie e altre cose quotidiane. Quando uno voleva
comunicare o chiedere qualche cosa, bastava gridare e l’altro poteva ascoltare
e capire bene. Avevano in comune un cane fedele che era abituato ad andare sia
a casa del cieco sia a casa del paralitico. Il cane si chiamava Lawe.
Un giorno il cieco ebbe fame
perché non aveva il fuoco per cucinare i cibi, allor cominciò a gridare
dicendo: “Signore paralitico, potresti darmi il tuo fuoco? Ho fame e ho le
patate da cucinare, però ho la legna e ma non il fuoco.” “Si, ce l’ho. Ti
aiuterei volentieri, ma come faccio: lo sai che io non posso venire da te,”
disse il paralitico. Il cieco gridava, gridava piangendo e chiedendo aiuto:
passò quasi tutta la giornata senza mangiare nulla.
Il paralitico poi trovò una
soluzione che avrebbe potuto aiutare o per portare il fuoco al suo amico. Chiamò
il cieco comunicando così la sua idea, “Caro signor cieco, ho una soluzione per
aiutarti. C’è Lawe a casa mia: penso di legare un legno accesso alla coda di
Lawe il quale lo porterà a te. C’è una cosa però che tu devi fare perché Lawe
possa venire da te.” Sentendo questa comunicazione il cieco cominciò a sperare
e gli chiese: “Che cosa devo fare?” “Tu dovresti chiamare Lawe da casa tua
continuamente affinché esso possa venire da te,” disse il paralitico. “Va bene,
sono d’accordo con te. Quindi fammi sapere quando Lawe è gia pronto.” “Va bene,
ti prometto di dire quando sono pronto,” rispose il paralitico. Poi paralitico
iniziò a lavorare. Prese un legno accesso, lo legò alla coda di Lawe, e dopo
aver fatto così il paralitico gridò al cieco di chiamare Lawe.
Udendo il suo nome, Lawe
cominciò a muoversi, alzò la coda finché il fuoco toccò il suo corpo e cominciò
a bruciare il suo pelo. Lawe iniziò a urlare, muovendosi qua e là per liberarsi
dal fuoco, ma non riusciva. Sentendo e vedendo l’urlo di Lawe il paralitico e
il cieco scoppiarono a ridere crepapelle come se quello fosse un spettacolo meraviglioso.
Lawe non andò a casa del cieco
ma continuava a cercare di liberarsi. All’improvviso in quel momento si levò un
forte vento forte e una voce gridò chiamando, “Cieco! Paralitico! Dove siete?”
Sentendo così essi cominciarono a tremare ed avere paura. Quella voce pian
pianino si avvicinò a casa del paralitico: era la voce di un vecchio con i capelli
lunghi e la barba bianca lunga che entrò nella casa di paralitico. nella mano
destra aveva una lancia. Nessuno di loro sapeva da dove venisse quest’uomo
strano: che a loro chiese, “Che cosa volete mangiare: il riso o ‘il risobianco’
(bubur)?” “Vogliamo mangiare il ‘risobianco’,” disse il paralitico. Il vecchio
subito piantò la lancia per terra e subito sgorgò acqua caldissima fino a
riempire le case del cieco e del paralitico e anche tutto il paese interno. Il
vecchio sparì e questi due uomini morirono perché nessuno venne ad aiutarli: e
il luogo dove abitavano divenne un lago grande e largo.
A fianco del lago c’era un
piccolo paese che si chiamava Nggoang (sarebbe ardente in Italiano) dove
abitava un rappresentante del re Manggarai che occupava la parte occidentale
del regno, questo rappresentante del re si chiamava Gelarang. Gelarang e le sue
moglie di solito facevano il bagno nel lago. Una volta all’anno, di solito in
un venerdì sera del mese di gennaio o febbraio, Gelarang e la sua moglie
preferita andavano a fare un giro sul lago per acquistare la sognata capacità
magica. Prendevano un serpente grande (ular naga) come mezzo di trasporto
perché credevano che il serpente avesse qualche magia potente e solo Gelarang
poteva addomesticarlo. Sulla testa del serpente ardeva un fuoco che illuminava
la direzione del loro viaggio: dalla coda del serpente uscivano liquidi
velenosi perché servivano a difendersi dai nemici o dai altri pericoli. Il giro
si faceva alla sera e quindi la gente, dai confini del lago, poteva osservare
il fuoco ardente sul capo del serpente come segno che Gelarang e sua moglie stavano
facendo un giro ritualistico.
Da allora sì cominciò a chiamare questo lago Sano
Nggoang (Il lago ardente). Le acque di questo lago sono sulfuree e perciò non
vi si può pescare ogni genere di pesci: solo granchi e anatre possono viverci. Ciononostante il lago è una attrazione turistica per la sua bellezza naturale, ma forse anche per il fascino della la leggenda che lo circonda.
Parma, 31 Maggio 2014
Yanto