Era giovedì
20 febbraio 2014. Noi, gli studenti Saveriani e i formatori, ci ritrovammo alla
casa delle sorelle Saveriane-Missionarie di Maria in Via Sidoli 70, Parma. Ci
rimanevamo lì dal mattino fino alla sera. Ci andammo a verificare la nostra
vita pastorale in questi ultimi 5 mesi. Nell’incontro ognuno da noi raccontava
ciò che faceva in parrocchia o in altri luoghi: con chi lavorava, quali erano gli
aspetti positivi e anche gli ostacoli, con quale spirito lo faceva. È stata una
giornata impegnativa ma alla fine sono contento di aver raccontato ciò che
facevo io e di aver ascoltato ciò che gli altri facevano. È stato un momento di
arricchimento.
Personalmente
avevo bisogno di un po’ di tempo per riflettere su queste questioni: con quale
spirito facevo il mio apostolato? Perché andavo a fare catechismo? Chi mi
spingeva a prendere questo impegno? Riflettendo su queste domande mi resi conto
che il motivo spirituale veniva accompagnato da altri motivi. Qualche volta
andavo al catechismo e alla Bulla senza essere consapevole del vero perché. Ci
andavo solo perché mi avevano mandato? Era solo un compito che dovevo fare? A
volte ci andavo anche a divertirmi. Quindi c’era il rischio
dell’automatismo-attivismo.
In quel
giorno in cui dovevo sapere o conoscere il motivo chiaro del mio impegno
pastorale, mi sono accorto che il motivo spirituale era ed è la ragione prima. Dio
che io conosco, lo trasmetto, lo testimonio e lo condivido agli altri. Dio
mediante la comunità mi manda a testimoniarlo alla gente con cui lavoro. Quando
ho preso quell’impegno, questo è il momento giusto per mettere in pratica
essendo io un cristiano. In questa ottica/prospettiva non mi sento il
protagonista ma lo strumento, trasmettendo e testimoniando l’amore vissuto con
Dio.
Il punto
di partenza è (prima di tutto) incontrare e conoscere Dio. Quindi la fonte
della missione, o del mio apostolato, è conoscere Colui che mi ama incondizionatamente
e avere un esperienza di Lui che è amabile e misericordioso. Come lo conosco
questo Dio?
Lo posso
conoscere prima di tutto attraverso la sua parola. Vedendo il modo di vivere e
di agire di Gesù, la parola di Dio fatta carne, vedo Dio misericordioso che ha
mandato Gesù in mezzo a noi perché lo conoscessimo e avessimo la vita piena in
Lui.
Questo
Gesù viene descritto e testimoniato degli evangelisti lo avevano conosciuto:
dai suoi
discepoli e dalla prima comunità cristiana. Quindi io oggi, che vivo
nel 2014, posso conoscere Dio di Gesù meditando e ascoltando il suo messaggio
che ci è stato trasmesso nei quatro vangeli. La via adatta per sapere quale è
la volontà di Dio è la via della lectio divina: cioè non solo leggo la sua
parola ma anche mi lascio trasformare da Lui. Cioè mi lascio guidare e riempire
da Lui e ovviamente con l’aiuto dello Spirito Santo. “A questo incontro con la Parola bisogna andare con tutto se stessi:
disposti a porre e a lasciarsi porre molte domande…Poi si tratta di una Parola
da portare con sé, ruminandola, conservandola, anche quando non la si è capita
completamente. Occorre starci a lungo insieme. È così che faceva Maria e in
questo modo la Parola è diventata sua carne, o per meglio dire, Lei ha dato
carne alla Parola, (P. F.Marini, nel Cordialmente vostro, 147).” In questa
modo mi sento tanto coinvolto a entrare nel suo modo di vivere.
Partecipando
all’eucaristia, posso conoscere Dio di Gesù profondamente. Tutta la vita
terrena di Gesù è una vita donata agli altri. Questo donarsi lo compie
pienamente nella pasqua soprattutto nella sua morte offrendo se stesso per noi,
per la nostra salvezza. Questo è l’amore gratuito di Colui che offre la sua
preziosa vita perché possiamo vivere come figli Dio. Questo è il dono di Colui
che sa amare. Così Gesù ci fa vedere / ci rivela Dio che è amore. L’eucaristia
rivela proprio questo volto di Dio. Partecipando l’eucaristia vuol dire venire
a incontrare questo Dio misericordioso. Quindi l’eucaristia è un incontro
gioioso e meraviglioso e anche una missione perché mi viene mandato a
testimoniare questo amore gratuito di Dio.
Dunque
nella lectio divina, cioè nell’approfondire la parola di Dio, e nell’eucaristia
posso conoscere il Dio di Gesù Cristo. Ambedue sono momenti significativi in
cui Dio mi viene incontro Lui stesso. Il nucleo della missione è proprio il
desiderio di incontrare questo Dio misericordioso per conoscerlo e testimoniarlo
dovunque io vada.
In questa
ottica posso valutare le mie attività pastorali. Sono le conseguenze di
quell’incontro. Quindi andare al catechismo è portare e condividere ai ragazzi la
mia esperienza con Dio: vuol dire andare a testimoniare e condividere il mio incontro
con Dio. Non è solo questo, ma è anche andare a ricevere o ascoltare Dio che
vive e parla nella vita delle persone che incontro. Esse non sono le “tabula
rasa” come se non avessero niente da condividere: credo che Dio già viva e
abiti in loro. Il mio compito è incontrare quel Dio che c’è in loro: significa
andare anche ad imparare da questi ragazzi come vivere cristianamente. A questo
punto c’è l’apertura da parte mia ad accogliere la loro testimonianza.
Quindi la
mia missione è incontrare, conoscere e sentire l’amore di Dio che io ritrovo
nelle persone con le quali condivido l’esperienza della missione e lo vivo e
condivido agli altri. “La missione
dunque, è annuncio di ciò che abbiamo visto e toccato o, come ci ripetono i
testi del tempo pasquale, dell’incontro amoroso col Risorto. Dal ‘chi è Cristo
per noi’ dipende che cosa siamo noi per gli altri, (P. F. Marini, nel
Cordialmente vostro, 156).”
Parma, 30 Aprile 2014
Yanto